La resa di Capua
I Romani assediano Capua. Annibale si dirige, per la via Latina, a
Roma,
sperando di distogliere le legioni da Capua e mantenere così il
controllo
della città. Lungo la strada saccheggerà anche il territorio
di Cales.
Giunto a Roma (il famoso Hannibal ad portas) si accampa davanti
Porta
Collina (era sulle mura serviane, dalle parti di Porta Pia) ma dopo
alcuni giorni riparte.
I Romani emettono un editto "ut ... " (XXVI, 12) " che
qualunque
cittadino
campano che fosse passato [ai
Romani]
prima di un certo giorno, sarebbe esente da punizioni"
A Capua Vibius Verius, colui che aveva favorito l'alleanza con
Annibale,
con un degnissimo discorso incita i suoi, vista oramai l'impossibilità
di proseguire la lotta, a darsi la morte e li invita a casa sua dove
avrebbero
bevuto il veleno liberatorio.
Dopo la resa ci sono divergenze tra i generali romani sulla sorte del
senato
campano: Fulvius è
per la massima severità mentre
Claudius è favorevole alla
clemenza.
Alla fine Fulvius riuscirà a far giustiziare i senatori di Capua di
fronte alla popolazione Calena.
Per far questo evita di leggere le missive speditegli
dal Senato romano,
ignorandone così le indicazioni.
Livio Liber XXVI
[9] Annibale in quel giorno, avendo attraversato il fiume Volturno,
pose
l'accampamento
vicino al fiume: il giorno successivo arrivò oltre Cales nell'agro
Sidicino. Qui, avendo indugiato un giorno per saccheggiare attraverso
il
territorio di Suessa, Allifae e Casinum, percorse la via Latina.
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[13] ..... Vibus Virrius, che fu il promotore della defezione dai
Romani,
richiesto del parere, afferma che coloro che parlano di ambasciatori,
di
pace e di dedizione, non ricordino né cosa avrebbero fatto loro stessi
se avessero avuto in loro potere i Romani né ciò che avrebbero
inferto agli stessi.
......
: "....e così a quelli di voi che hanno in animo di cedere al fato
prima che vedano tutte queste cose [dette], a questi oggi presso di me
sono
stati cucinati ed apparecchiati banchetti. Saziatevi di vino e cibo, la
stessa
pozione berrete che sarà data a me; questa pozione vendicherà
il corpo dalla crocefissione, l'anima dagli insulti, gli occhi e le
orecchie
dal vedere e sentire tutte le infamità ed indegnità che rimangono
ai vinti. Ci sarà gente preparata che getterà i corpi esanimi
in un grande rogo acceso nei cortili. Questa è la sola via onesta
e libera alla morte gli stessi nemici ammireranno il coraggio e
Annibale
saprà quali alleati forti ha abbandonato e tradito".
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[14] Furono più quelli che ascoltarono approvandolo questo discorso
di Virrius di quanti poterono con fermo coraggio eseguire ciò che
approvavano. La maggior parte del Senato [Capuano], avendo sperimentato
la
clemenza del popolo Romano spesso in molte guerre, per nulla diffidando
che
sarebbe stato placabile anche per se stessi, decretarono e mandarono
ambasciatori
per la resa di Capua ai Romani.
Ventisette senatori seguirono con fermezza Vibius Verrius a casa,
mangiarono
con lui quanto più poterono e quando furono in grado, avendo
allontanato
con il vino le menti dalla prossima sensazione di dolore, tutti
assunsero
il veleno; quindi, posta fine al convivio, datisi la mano destra, e
l'ultimo
abbraccio, piangendo assieme la sorte loro e quella della patria,
alcuni
rimasero per essere cremati nello stesso rogo, altri si recarono alle
case.
Le vene gonfie dei cibi e del vino resero meno efficace la forza del
veleno
nel recare la morte; e così tutta la notte la maggior parte di loro
e parte del giorno seguente la passarono nell'agonia, tuttavia tutti
spirarono
prima che fossero aperte le porte al nemico. Il giorno successivo la
porta
di Giove, che era di fronte all'accampamento romano, fu aperta per
ordine
dei proconsoli.
Attraverso questa entrò una legione e due ali con il legato C. Fulvius.
Questi essendosi preoccupato prima di tutto che tutte le armi da offesa
e
difesa che erano a Capua venissero recate a lui, avendo messe delle
sentinelle
alle porte perché nessuno potesse uscire o essere mandato fuori,
imprigionò il presidio Punico, ed ordinò al Senato Campano
di andare all'accampamento, dai generali Romani.
Come vennero qui, subito a tutti loro poste le catene, e fu loro
ordinato
di portare ai questori quanto avevano di oro e di argento. Ci furono
2070
libre si oro e 31200 libre di argento.
Furono venticinque senatori mandati in prigione a Cales e ventotto a
Teanum, quelli dalle
cui
opinioni, secondo quanto risultava ai Romani, era dipesa maggiormente
la
secessione
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[15] Sulla punizione del Senato Campano nulla c'era di accordo
tra
Fulvius
e Claudius. Claudius era favorevole ad impetrare il perdono, Fulvius
era
più duro nella sentenza. E così Appius rimetteva a Roma, al
Senato, tutta la decisione di questa cosa: essere equo lasciare ai
Padri
il potere di verificare se avessero fatto accordi con qualcuno degli
alleati
del nomen
latinum, e se li avessero aiutati nella guerra.
Fulvio diceva che anzi ciò non era assolutamente da fare per non
sollecitare con accuse dubbie gli animi degli alleati fedeli e
sottoporli
alle denuncie di coloro non avevano mai dato peso a ciò che dicevano
o a ciò che facevano; e così lui avrebbe oppresso e soppresso
questo problema.
Separatisi dopo questa discussione, e Appius non dubitava che il
collega
anche se parlava così ferocemente avrebbe tuttavia aspettato le lettere
da Roma per un cosa così importante, e Fulvius, perché non
ci fosse un impedimento al suo progetto, allontanatosi dal praetorium,
ordinò ai tribuni militari ed ai prefetti dei soci (alleati) di
nominare
2000 cavalieri scelti che fossero pronti al terzo squillo di tromba.
Recatosi di notte a Teanum con questa cavalleria, entrò nella porta
con la prima luce e si recò nel foro; creatasi un affollamento subito
all'arrivo dei cavalieri, ordinò di convocare il magistrato dei
Sidicini
di recare i Campani che aveva in custodia.
Quando furono tutti condotti , furono feriti dalle verghe e colpiti con
le
scuri [dei littori]. Quindi con la cavalleria citata si recò a Cales;
dove, mentre era seduto in tribunale e i
Campani lì
condotti venivano legato
ad un palo, un veloce cavaliere venne da Roma e recò le lettere da
parte di C. Calpurnio per il pretore Fulvius ed anche un senatus
consultus.
Un mormorio si diffuse dal tribunale e tutta l'adunanza che l'affare
dei
Campani era riservato per intero al Senato; e Fulvius convinto che così
fosse, ripose in grembo la lettera ricevuta ma non ancora aperta,
ordinò
al banditore che il littore agisse secondo la legge e così anche quelli
che erano a Cales furono giustiziati.
Allora furono letti e la lettera ed il senatus consultus, tardi
per
impedire ciò che era già stato fatto e che era stata spedita
a questo scopo il più velocemente possibile. Mentre Fulvius si alzava
lo chiamò per nome Taurea Vibennus Campanus, che andava in mezzo alla
folla e Flacco, meravigliandosi di ciò che volesse da lui, si
risedette:
"anche me, disse, ordina di uccidere, per poterti vantare di aver
ucciso
un uomo più coraggioso di quanto tu sia".
Giacché Flaccus affermava che egli non era padrone della mente e diceva
che glielo vietava, anche se voleva, il Senatus consultus,
allora
Vibellius "Giacché, disse essendo presa la patria uccisi parenti
ed amici, avendo ucciso io stesso di mia mano la coniuge ed i figli
perché
non soffrissero di nessuna indegnità, perché per me non c'è
la stessa facoltà di morire che hanno avuto i miei concittadini, si
tragga dal coraggio la liberazione da questa vita odiosa".
E così trafitto il petto con il gladio che era celato dalla veste,
cadde moribondo davanti ai piedi del generale.
Testo latino
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[9] Hannibal quo die Uolturnum est transgressus, haud procul a
flumine
castra posuit: postero die praeter Cales in agrum Sidicinum peruenit.
ibi
diem unum populando moratus per Suessanum Allifanumque et Casinatem
agrum
uia Latina ducit.
[TOP]
[13] Conspectum tam triste supplicium fregit animos Campanorum.
concursus
ad curiam populi factus coegit Loesium senatum uocare; et primoribus
qui
iam diu publicis consiliis aberant propalam minabantur nisi uenirent in
senatum
circa domos eorum ituros se et in publicum omnes ui extracturos esse.
is timor frequentem senatum magistratui praebuit. ibi cum ceteri de
legatis
mittendis ad imperatores Romanos agerent, Uibius Uirrius, qui
defectionis
auctor ab Romanis fuerat, interrogatus sententiam, negat eos qui de
legatis
et de pace ac deditione loquantur meminisse nec quid facturi fuerint si
Romanos
in potestate habuissent nec quid ipsis patiendum sit.
'quid? uos' inquit 'eam deditionem fore censetis qua quondam, ut
aduersus
Samnites auxilium impetraremus, nos nostraque omnia Romanis dedidimus?
iam
e memoria excessit, quo tempore et in qua fortuna a populo Romano
defecerimus?
iam, quemadmodum in defectione praesidium, quod poterat emitti, per
cruciatum
et ad contumeliam necarimus? quotiens in obsidentes, quam inimice
eruperimus,
castra oppugnarimus, Hannibalem uocauerimus ad opprimendos eos? hoc
quod
recentissimum est, ad oppugnandam Romam hinc eum miserimus? age contra,
quae
illi infeste in nos fecerint repetite, ut ex eo quid speretis habeatis.
cum
hostis alienigena in Italia esset et Hannibal hostis et cuncta bello
arderent,
omissis omnibus, omisso ipso Hannibale, ambo consules et duo consulares
exercitus
ad Capuam oppugnandam miserunt. alterum annum circumuallatos
inclusosque
nos fame macerant, et ipsi nobiscum ultima pericula et grauissimos
labores
perpessi, circa uallum ac fossas saepe trucidati ac prope ad extremum
castris
exuti. sed omitto haec--uetus atque usitata res est in oppugnanda
hostium
urbe labores ac pericula pati--: illud irae atque odii
<inexpiabilis>
exsecrabilisque indicium est. Hannibal ingentibus copiis peditum
equitumque
castra oppugnauit et ex parte cepit: tanto periculo nihil moti sunt ab
obsidione.
profectus trans Uolturnum perussit Calenum agrum: nihil tanta sociorum
clade
auocati sunt. ad ipsam urbem Romam infesta signa ferri iussit: eam
quoque
tempestatem imminentem spreuerunt. transgressus Anienem tria milia
passuum
ab urbe castra posuit, postremo ad moenia ipsa et ad portas accessit;
Romam
se adempturum eis, nisi omitterent Capuam, ostendit: non omiserunt.
feras
bestias caeco impetu ac rabie concitatas, si ad cubilia et catulos
earum
ire pergas, ad opem suis ferendam auertas: Romanos Roma circumsessa
coniuges,
liberi, quorum ploratus hinc prope exaudiebantur, arae foci deum
delubra
sepulcra maiorum temerata ac uiolata a Capua non auerterunt; tanta
auiditas
supplicii expetendi, tanta sanguinis nostri hauriendi est sitis. nec
iniuria
forsitan; nos quoque idem fecissemus, si data fortuna esset. itaque
quoniam
aliter dis immortalibus est uisum, cum mortem ne recusare quidem
debeam,
cruciatus contumeliasque quas parat hostis dum liber, dum mei potens
sum,
effugere morte praeterquam honesta, etiam leni possum. non uidebo Ap.
Claudium
et Q. Fuluium uictoria insolenti subnixos, neque uinctus per urbem
Romanam
triumphi spectaculum trahar, ut deinde ~in carcerem~ aut ad palum
deligatus,
lacerato uirgis tergo, ceruicem securi Romanae subiciam; nec dirui
incendique
patriam uidebo, nec rapi ad stuprum matres Campanas uirginesque et
ingenuos
pueros.
Albam unde ipsi oriundi erant a fundamentis proruerunt, ne stirpis,
ne
memoria originum suarum exstaret: nedum eos Capuae parsuros credam, cui
infestiores quam Carthagini sunt.
itaque quibus uestrum ante fato cedere quam haec tot tam acerba
uideant
in animo est, iis apud me hodie epulae instructae parataeque sunt.
satiatis
uino ciboque poculum idem quod mihi datum fuerit circumferetur; ea
potio
corpus a cruciatu, animum a contumeliis, oculos aures a uidendis
audiendisque
omnibus acerbis indignisque quae manent uictos uindicabit. parati erunt
qui
magno rogo in propatulo aedium accenso corpora exanima iniciant. haec
una
uia et honesta et libera ad mortem. et ipsi uirtutem mirabuntur hostes
et
Hannibal fortes socios sciet ab se desertos ac proditos esse.'
[14] Hanc orationem Uirri plures cum adsensu audierunt quam forti
animo
id quod probabant exsequi potuerunt. maior pars senatus, multis saepe
bellis
expertam populi Romani clementiam haud diffidentes sibi quoque
placabilem
fore, legatos ad dedendam Romanis Capuam decreuerunt miseruntque.
Uibium Uirrium septem et uiginti ferme senatores domum secuti sunt,
epulatique
cum eo et quantum facere potuerant alienatis mentibus uino ab
imminentis
sensu mali, uenenum omnes sumpserunt; inde misso conuiuio
dextris
inter se datis ultimoque complexu conlacrimantes suum patriaeque casum,
alii
ut eodem rogo cremarentur manserunt, alii domos digressi sunt.
impletae cibis uinoque uenae minus efficacem in maturanda morte uim
ueneni
fecerunt; itaque noctem totam plerique eorum et diei insequentis partem
cum
animam egissent, omnes tamen prius quam aperirentur hostibus portae
exspirarunt.
postero die porta Iouis, quae aduersus castra Romana erat, iussu
proconsulum
aperta est.
ea intromissa legio una et duae alae cum C. Fuluio legato. is cum
omnium
primum arma telaque quae Capuae erant ad se conferenda curasset,
custodiis
ad omnes portas dispositis ne quis exire aut emitti posset, praesidium
Punicum
comprehendit, senatum Campanum ire in castra ad imperatores Romanos
iussit.
quo cum uenissent, extemplo iis omnibus catenae iniectae, iussique ad
quaestores
deferre quod auri atque argenti haberent. auri pondo duo milia
septuaginta
fuit, argenti triginta milia pondo et mille ducenta. senatores quinque
et
uiginti Cales in custodiam, duodetriginta Teanum missi, quorum de
sententia
maxime descitum ab Romanis constabat.
[15] De supplicio Campani senatus haudquaquam inter Fuluium
Claudiumque
conueniebat. facilis impetrandae ueniae Claudius, Fului durior
sententia
erat. itaque Appius Romam ad senatum arbitrium eius rei totum
reiciebat:percontandi etiam aequum esse potestatem fieri patribus, num
communicassent consilia cum aliquis sociorum Latini nominis
[municipiorum]
et num ope eorum in bello forent adiuti.
id uero minime committendum esse Fuluius dicere ut sollicitarentur
criminibus
dubiis
English text: